La storia del teatro
Un completo e quanto mai avvincente viaggio nella storia del Teatro di Messina dal ‘Teatro della Munizione’ al ‘Teatro Santa Elisabetta’ sino al Real Teatro Vittorio Emanuele II’.
La storia, i fatti e le immagini raccontate e dettagliate per epoche con interessanti aneddoti legati alle vicende storiche della città e della, allora recente, Unità d’Italia.
Nel giornale “Il Faro” del 29 giugno 1836 il pubblicista messinese Carlo Gemelli, prendendo spunto da una polemica con un ignoto viaggiatore che lamentava “di avere i messinesi gusto pe’ divertimenti e per ogni sorta di piaceri, meno che di teatro”, replicava: “Sappia il nostro censore che l’aver noi un ‘infelicissimo’ teatro, ciò non porta quella sua ‘gentile illazione’ di non avere i messinesi alcun gusto teatrale. Venga egli a vedere come presso di noi la musica è universalmente coltivata, vegga i progressi che la nostra Filarmonica Società ha fatto nel breve periodo di pochi anni nella sublime scienza musicale, e poscia scriva di noi di non aver nessun gusto per il teatro. Ma ci dica pure, dipende dalla volontà del pubblico l’aver egli un buono o ‘infelicissimo’ teatro?”.
L”infelicissimo’ teatro era quello della Munizione, che Giuseppe La Farina nella sua guida del 1840 Messina e i suoi monumenti, così descriveva: “[…] tenuto per teatro bellissimo, come i nostri storici, e particolarmente il Gallo, lo addimandono. Oggi è reputato opera sconcia e barbara. I corridoi sono angustissimi, le scale incomode e meschine, la platea lunga e disarmonica”. Lo storico e uomo politico messinese poi concludeva, in accordo col Gemelli e con quanti altri nei periodici cittadini si erano levati contro le ingiuste accuse circolate nel continente: “Male però farebbe chi volesse da ciò argomentare il gusto dei messinesi per la musica. Il bisogno di un più ampio e più accomodato teatro è stato da molti anni sentito, ed il desiderio è venuto crescendo col tempo, e pare oggi voglia essere appagato, oggi ch’è stato prescelto il locale delle antiche carceri per un novello teatro […]”.
Infatti il 2 ottobre 1838 Ferdinando II di Borbone, re delle Due Sicilie, aveva inviato all’Intendente del Vallo di Messina, don Giuseppe De Liguoro, un rescritto con cui ordinava la costruzione di un teatro nell’area delle vecchie carceri. Escludendo l’antico progetto di utilizzare lo spazio del vetusto La Munizione – spazio assai limitato, su un terreno in pendenza e a ridosso di numerose abitazioni private – fu presa in considerazione l’area che si sarebbe potuta ricavare dalla demolizione delle vecchie carceri borboniche, site sulla centralissima via Ferdinandea.
Nuoceva assai al decoro della città che una tale costruzione, e ancor più i suoi ‘ospiti’ che si affacciavano dalle inferriate, insistesse su quella elegante e affollata strada. Il rescritto, firmato dal ministro degli Interni barone Nicola Santangelo, fu pubblicato il 9 ottobre 1838 sul “Giornale dell’Intendenza della Provincia di Messina”. Esso così iniziava: “S.M. il Re N.S. desiderando di veder soddisfatto il voto unanime della città di Messina per la pronta costruzione di un teatro, e volendo ad un tempo, che questa nuova opera contribuisca in particolar modo ad accrescere il decoro, ed il lustro di sì bella città, e che soddisfi ancora al bisogno della sua numerosa popolazione, ed a ciò che esige in opere di questa natura la perfezione dell’arte, e l’attuale incivilimento; vista l’ultima deliberazione decurionale riguardante la proposta di un sito più adattato a costruirvi un teatro, ha fatto esaminare diligentemente le diverse idee, che si presentavano principalmente intorno alla scelta di tale sito.
Dopo matura ponderazione, ha quindi S.M. risoluto, che il Teatro della città di Messina sia costruito nell’edifizio, che attualmente è addetto ad uso di prigione centrale di cotesta provincia; e perché possa sollecitamente intraprendersene la costruzione, ha ordinato, che i detenuti siano provvisoriamente trasferiti nel così detto castello di Roccaguelfonia, altrimenti appellato, di Mata-grifone, pagandosi dal comune una competente pigione annuale ai PP. di S. Nicola degli Scalzi a’ quali trovasi ceduto”. L’area ricavata dalla demolizione delle carceri risultò di circa 2.971 metri quadrati. Anche questa volta su tutti prevalse il progetto dell’architetto napoletano Pietro Valente. Nella nomina non gli fu estraneo “lo sfacciato favore” del ministro degli Interni Santangelo. Pietro Valente venne quindi nominato “architetto direttore”, mentre il messinese Carlo Falconieri gli fu affiancato come “architetto di dettaglio”.
Coerentemente con il primo progetto presentato nel 1827, il Valente offrì alla cittadinanza messinese un edificio che tutti apprezzarono, come scrisse l’architetto e storico napoletano Camillo Napoleone Sasso: “In somma la pianta di questo teatro è tra le più studiate di quante se ne trovano in Europa, e noi osiamo dichiararlo francamente e senza timore di essere smentiti. Quale vista non dovrà fare quel teatro nelle grandi feste, con quel magnifico ingresso con le gallerie laterali aperte, ed in comunicazione con la sala alle spalle del palcoscenico, e l’altra sala sopra i due vestiboli?”. Il progetto definitivo di Pietro Valente fu redatto nel 1840, e corredato di un “Stato estimativo di tutti i lavori bisognevoli per la costruzione del nuovo Real Teatro della Città di Messina”.
Nel “Discorso pronunziato dall’Intendente di Messina nell’apertura del Consiglio Provinciale dell’anno 1841”, il commendatore De Liguoro così evidenziava: “Non potrei meglio conchiudere la parte riguardante l’articolo sulle opere pubbliche che col darvi il grato annunzio di essersi S.M. il Re N.S. degnata col Real Rescritto del 31 dello scorso marzo di approvare la pianta, i profili, il progetto e lo stato estimativo del novello teatro da costruirsi in questa città stabiliti dall’architetto Valenti con l’importo di ducati 1.000.207, come pure i fondi proposti dal Decurionato per far fronte alla spesa. Sarà questa un’opera veramente degna della magnificenza e della gloria del regno Augusto dell’ottimo Principe che ci governa, ed un perenne monumento del suo amore verso i messinesi”.
Il teatro di Messina fu espressione delle nuove esigenze dell’élite peloritana, ma anche della volontà di Ferdinando II e del suo ministro degli Interni Nicola Santangelo di potenziare una politica di lavori pubblici con grandi opere di rappresentanza a scapito delle più necessarie riforme economiche. Esso fu quindi edificato in un momento di distensione politica nei rapporti tra la cittadinanza ed i Borboni. Al plauso pubblico il sovrano rispose restituendo a Messina, “città fedelissima”, più ampi margini di libertà culturale. La concessione del teatro, che sanciva questo nuovo corso politico, appagava nel contempo un’assai sentita esigenza di spazi culturali.
La posa della prima pietra del ‘novello Teatro’ di Messina, intitolato a Santa Elisabetta in omaggio a Maria Isabella di Spagna, madre di Ferdinando II, avvenne il 23 aprile 1842. La solenne cerimonia si compì alla presenza delle massime autorità. Lo stesso Pietro Valente pronunciò il discorso inaugurale “che destò le meraviglie di ognuno; perché nel vero era ben nuovo che un architetto adempisse cosa tanta aliena dalla sua arte”.
Agli inizi del 1843 risultavano già “eseguite le fondazioni di tutt’i muri laterali dello intero portico, del vestibolo, della curva della platea sino alla bocca d’opera del proscenio non restando a farsi che le fondazioni del solo lato occidentale del Teatro che chiude il palco scenico per compirsi le fondamenta dell’intero teatro”.
I lavori di costruzione durarono oltre dieci anni. Essi furono appaltati alla Ditta Antonino Manganaro per la somma complessiva di 140.000 onze, e furono diretti personalmente dal Valente. Nei primi mesi del 1845, infatti, Carlo Falconieri sarebbe stato definitivamente esonerato dall’incarico di “architetto di dettaglio”.
L’anno seguente l’Intendente De Liguoro annunziava con soddisfazione: “La costruzione del novello Teatro di Messina va sempre più progredendo; le pareti esterne, il vestibolo, e gli altri ambienti sono già elevati sin alla prima impalcatura, e gli ambulacri e la curva della sala saliscono al quarto ordine de’ palchi. Non si cessa di portar innanzi i lavori con operosità per darsi compimento a questo sontuoso edifizio, il quale sarà un grande monumento della gloria e della magnificenza dell’Augusto Monarca e dell’incivilimento di questa cospicua città”.
L’inaugurazione del Teatro Santa Elisabetta avvenne il 12 gennaio 1852, giorno del quarantaduesimo genetliaco di Ferdinando II. La serata si apriva con Il Trionfo della Pace, azione melodrammatica di Antonio Laudamo su libretto di Felice Bisazza. Seguiva l’opera Il Pascià di Scutari, titolo imposto dalla censura borbonica al Marin Faliero di Gaetano Donizetti. Il teatro risultava affollato in ogni ordine si posti. Erano presenti tutte le più aristocratiche e facoltose famiglie peloritane, le più note personalità artistiche e letterarie, e le autorità al completo. Michele Celesti, Intendente al Vallo, occupava il palco n. 11, mentre quello di fronte, il n. 12, ospitava il comandante della Piazzaforte, generale Giuseppe Diversi. L’Intendente era accompagnato dal Segretario ai Pubblici Spettacoli Abbagnato; era anche presente il marchese Di Gregorio Alliata, Delegato Municipale ai Pubblici Spettacoli.
Per le cronache del tempo lo spettacolo “fu semplicemente magnifico e tutto concorse a renderlo tale: la bellezza della nuova sala illuminata fastosamente a cera, la ricchezza delle belle dame, il valore degli artisti e specialmente della bellissima Sanchioli”. Il soprano Giulia Sanchioli, nel ruolo di Alina, furoreggiò nel terzo atto con l’aria d’espressione seguita dalla cabaletta “Fra due tombe, fra due spettri”. Direttore della Musica era Antonio Laudamo. “Primo violino e Maestro direttore dell’Orchestra” il celebre compositore ravennate Angelo Mariani.
Nel settembre 1860, con l’annessione al Regno d’Italia, la denominazione del S. Elisabetta fu mutata in “Vittorio Emanuele II”. L’annessione del “Regno delle due Sicilie al Regno d’Italia sotto lo scettro costituzionale di Vittorio Emanuele II” fu festeggiata nel teatro affollatissimo, decorato con bandiere tricolori, con un canto del poeta liberale messinese Vincenzo D’Amore declamato dall’artista Rosaspina.
Due anni più tardi lo stesso re Vittorio Emanuele II interveniva nel teatro a lui intitolato, assistendo ad uno spettacolo dato in suo onore.
Il Teatro Vittorio Emanuele ospitò, insieme a spettacoli di varia natura, balli, operette, i generi teatrali della tragedia e del dramma borghese, ed in campo musicale soprattutto il melodramma romantico italiano, che esprimeva la cultura nazionale dell’Ottocento. Assai prediletto dal pubblico messinese fu pure il Grand Opéra francese. Al Vittorio si diede nel 1891 la prima siciliana del Lohengrin di Richard Wagner. Sul finire del secolo, vivo successo riscossero l’opera e il teatro verista.