di Stefano Massini
con Alessandro Preziosi
con Francesco Biscione
e con Massimo Nicolini, Roberto Manzi, Leonardo Sbragia e Antonio Bandiera
scene e costumi Marta Crisolini Malatesta
disegno luci Valerio Tiberi e Andrea Burgaretta
musiche Giacomo Vezzani
supervisione artistica Alessandro Preziosi
regia Alessandro Maggi
produzione Khora e TSA Teatro Stabile D’Abruzzo
durata 90 minuti atto unico
È il 1889 e l’unico desiderio di Vincent è uscire dalle austere mura del manicomio di Saint Paul. La sua prima speranza è riposta nell’inaspettata visita del fratello Theo che ha dovuto prendere quattro treni e persino un carretto per andarlo a trovare …
Come può vivere un grande pittore in un luogo dove non c’è altro colore che il bianco?
Attraverso l’imprevedibile metafora del temporaneo isolamento di Vincent Van Gogh in manicomio, interpretato da Alessandro Preziosi, lo spettacolo di Khora Teatro in coproduzione con il Teatro Stabile d’Abruzzo e per la regia di Alessandro Maggi, è una sorta di thriller psicologico attorno al tema della creatività artistica che lascia lo spettatore con il fiato sospeso dall’inizio alla fine.
Il testo vincitore del Premio Tondelli a Riccione Teatro 2005 per la “…scrittura limpida, tesa, di rara immediatezza drammatica, capace di restituire il tormento dei personaggi con feroce immediatezza espressiva” (dalla motivazione della Giuria n.d.r.) firmato da Stefano Massini con la sua drammaturgia asciutta ma ricca di spunti poetici, offre considerevoli opportunità di riflessione sul rapporto tra le arti e sul ruolo dell’artista nella società contemporanea.
Note di regia
Sospensione, labilità, confine. Sono questi i luoghi, accidentati e mobili, suggeriti dalla traiettoria, indotti dallo scavo. Soggetti interni di difficile identificazione, collocati nel complesso meccanismo dell’organicità della mente umana. Offerti e denudati dalla puntuale dinamicità e dalla concretezza del testo, aprono strade a potenziali orizzonti di ricerca. La scrittura di Massini, limpida, squisitamente intrinseca e tagliente, nella sua galoppante tensione narrativa, offre evidentemente la possibilità di questa indagine. Il serrato e tuttavia andante dialogo tra Van Gogh – internato nel manicomio di Saint Paul de Manson – e suo fratello Theo, propone non soltanto un oggettivo grandangolo sulla vicenda umana dell’artista, ma piuttosto ne rivela uno stadio sommerso.
Lo spettacolo è aperto contrappunto all’incalzante partita dialogica. Sottinteso. Latente.
Van Gogh, assoggettato e fortuitamente piegato dalla sua stessa dinamica cerebrale incarnata da Alessandro Preziosi, si lascia vivere già presente al suo disturbo. È nella stanza di un manicomio che ci appare. Nella devastante neutralità di un vuoto. E dunque, è nel dato di fatto che si rivela e si indaga la sua disperazione. Il suo ragionato tentativo di sfuggire all’immutabilità del tempo, all’assenza di colore alla quale è costretto, a quell’irrimediabile strepito perenne di cui è vittima cosciente, all’interno come all’esterno del granitico “castello bianco” e soprattutto al costante dubbio sull’esatta collocazione e consistenza della realtà.
La tangente che segue la messinscena resta dunque sospesa tra il senso del reale e il suo esatto opposto.
In una spaccatura in cui domina la sola logica della sinestesia, nella quale ogni senso è plausibilmente contenitore di sensi altri, modulandone infinite variabili, Van Gogh è significante e significato di sé stesso. Lo scarto emotivo che subisce e da cui è irrimediabilmente dipendente, rappresenta causa ed effetto della sua stessa creazione artistica, non più dissociata dalla singolarità della sua esistenza e lo obbliga a percorrere un sentiero isolato in cui il solo punto fermo resta la plausibilità di un’infinita serie di universi possibili nei quali ogni tangibilità può rappresentare il contrario di ciò che è.
Alessandro Maggi