Una lettura fedele dell’opera shakespeariana l’Amleto proposto da Ninni Bruschetta..
..«fedele – puntualizza il regista – nella misura in cui la fedeltà prevede un margine, sia pur impercettibile, di tradimento. Del resto tradire un testo significa anche tramandarlo, cioè, nel caso del teatro, renderlo leggibile ad un pubblico moderno».
Lo spettacolo, produzione del Teatro di Messina, dopo aver debuttato lo scorso anno, e una tournèe che quest’anno lo ha visto ospite dei teatri “Manzoni” di Monza e“Carlo Rossi”di Casal Pusterlengo, del “Teatro Sociale di Brescia”e del teatro “Menotti”di Milano, andrà in scena al Vittorio Emanuele dal 26 al 28 febbraio.
La ripresa dello spettacolo, frutto di un profondo studio condotto da Ninni Bruschetta sull’opera shakespeariana, si inserisce nella cornice del 400° anniversario della morte del drammaturgo inglese (1616 – 2016).
Una figura archetipica l’Amleto proposto dal regista, direttore artistico della Prosa del teatro di Messina, ma al contempo un uomo delineato nella sua modernità, rappresentante di una crisi, consapevole di una caduta spirituale che gli fa scegliere di abbandonare quel Paradiso Terrestre nel quale aveva trovato rifugio, per diventare semplicemente un uomo. Amleto, nella trascrizione scenica di Bruschetta, che sceglie di costruire la sua drammaturgia sulla traduzione di Alessandro Serpieri, è l’uomo, nella sua complessa e imperfetta natura. Non dai tratti cupi e torbidi, ma uomo vivo, vitale, attivo, che sceglie e per cui il dubbio rappresenta solo un passaggio obbligato con cui confrontarsi, perfettamente incarnato nella sua sete di conoscenza e verità, dall’attore Angelo Campolo. «Probabilmente sceglie la cosa sbagliata – precisa Bruschetta – ma sceglie e si rifugia nella purezza dell’azione». La lettura, suggestiva, offre un’ulteriore occasione per continuare a riflettere su grandi temi dal valore universale: vita e morte, verità e menzogna, desiderio di giustizia e vendetta, sul ruolo del caso, sul potere reale o illusorio della volontà. A sottolineare l’atemporalità dei temi messi in campo i costumi di Cinzia Preitano che si caratterizzano per la cura dei dettagli e l’essenzialità delle silhouette, ad enfatizzare movimenti ed intenzioni dei personaggi che si muovono nello spazio scenico immaginato da Mariella Bellantone. Le musiche originali di Toni Canto sono eseguite dal vivo dallo stesso autore e da Gianluca Sanzariello.
Note di regia
La prima, ma forse anche l’unica ragione di questa messa in scena è il rispetto, mi permetto di dire, quasi integrale, del testo che restituisce una storia straordinaria di cui è praticamente impossibile perdere anche un solo dettaglio. Una storia che nasconde (o forse svela) una lettura dichiaratamente meta teatrale e fa da supporto ad un’ulteriore riflessione di carattere archetipico, come dice lo stesso Serpieri a proposito della fatidica “domanda”: essere o non essere.
Per fare questo ho formato una compagnia nata dall’aver individuato in Angelo Campolo, giovane attore messinese, già rodato come protagonista da Luca Ronconi ai tempi della sua formazione alla scuola del Piccolo di Milano e da Vetrano e Randisi, nel loro più recente Pirandello (Trovarsi). Incontrare Angelo e soprattutto conoscere il lavoro che in questi ultimi anni ha condotto sul territorio della nostra città, con un nutritissimo gruppo di allievi, è stata laprima intuizione. Come in un bellissimo libro di Brook (Lo spazio vuoto), “incontrare” l’attore, con tutto ciò che può esserci di casuale in ciò, e riconoscere in lui il possibile interprete è la prima motivazione per un regista che si approccia a un testo di Shakespeare. E così anche gli altri ruoli hanno una loro storia, dai principali ai più piccoli. Il Polonio diAntonio Alveario, attore tragico e grottesco, per dieci anni nella compagnia di Leo De Berardinis, la Gertrude di Maria Sole Mansutti e il Claudio di Emmanuele Aita, scelti durante unprovino-laboratorio in cui hanno portato un’interpretazione sorprendente e, a mio parere, innovativa di due personaggi difficili e controversi; il Fantasma di GionniBoncoddo, già attore del mio Giulio Cesare (1998), vittima di un incidente che lo ha restituito alla vita dopo averglifatto scontare due mesi di coma e molti anni di riabilitazione, il Becchino di Maurizio Puglisi, attore (Cassio nel Giulio Cesare sopra citato) e produttore, l’Ofelia di Celeste Gugliandolo, celebre per le sue doti canore ma altrettanto sensibile attrice, e gli altri giovani, tutti provenienti da un importante fermento locale, preparati anche al lavoro sul verso e sullaparola, che ricoprono i ruoli più piccoli esercitando l’artifizio del raddoppio o personaggi altrettanto complessi e corposi come Orazio (Francesco Natoli), Fortebraccio (Alessandro Lui), Laerte (Ivan Bertolami).Mi auguro che questo spettacolo sia in grado di rappresentare Amleto di William Shakespeare,un compito gravoso, ma anche il progetto di un teatro che è appena risorto da un passato pigro e sonnolento, a tratti drammatico e non dal punto di vista teatrale. Credo fortemente in questa scelta, perché credo nelle scelte culturali e non commerciali, le scelte vere, le urgenze di cuil’intelletto ha bisogno e nel valore sociale del nostro lavoro che ha “il fine… di reggere, per così dire, lo specchio alla natura, di mostrare alla virtù il suo vero volto, al vizio la sua vera immagine, e all’età stessa e al corpo dell’epoca la sua forma come in un calco”.
Ninni Bruschetta