Trittico di Danza Contemporanea
L’Après-Midi d’un Faune – musiche di Claude Debussy
coreografia Giorgia Nardin
Stormy – musiche di Claude Debussy
coreografia Chiara Frigo
Bolero – musiche di Maurice Ravel
regia e coreografia Francesca Pennini
produzione Balletto di Roma
UN TRITTICO AL FEMMINILE PER I CLASSICI DEL NOVECENTO
Un vero e proprio trittico, che ruota attorno al numero tre: tre le coreografe coinvolte, tre i brani dei primi anni del XX secolo, tre i temi per tre ricerche coreografiche nate a partire da musiche ormai entrate nel repertorio, ma un tempo parte di un modo rivoluzionario di fare danza.
Dopo il primo titolo del 2016, Paradox, Balletto di Roma torna ad esplorare la forma del trittico: ad essere protagonisti questa volta sono tre brani musicali, che rimandano allo straordinario periodo di innovazione e fermento artistico che accompagnò l’ascesa dei Balletti Russi in Europa agli inizi del 1900. Purtroppo, le figure femminili che contribuirono allo sviluppo della cultura della danza europea in quegli anni rimangono nell’ombra: è il caso, ad esempio, di Ida Rubinstein, danzatrice e mecenate, che nel 1928 commissionò a Ravel il celebre Bolero, per un balletto che coreografò e danzò poi lei stessa.
È quindi con questo nuovo titolo che Balletto di Roma decide di dare voce a tre artiste italiane attive sulla scena contemporanea internazionale e offrire loro l’opportunità di confrontarsi con la creazione nell’ambito di una compagnia, compagnia che in questo modo arricchisce il proprio repertorio con diversi linguaggi coreografici e nuovi approcci artistici. Alla giovane Giorgia Nardin, coreografa indipendente e docente al corso triennale professionale di contemporaneo, è proposta la creazione de L’Après-midi d’un Faun sulla musica originale di Debussy: il suo stile estremamente fisico e provocatorio rilegge un titolo tratto da un racconto di Mallarmé, che ha ispirato una partitura capostipite dell’impressionismo musicale. Un poemetto ricco di di immagini e simboli, ma anche di riferimenti profondamente erotici, in cui il poeta descrive il fauno attraverso il gesto, delineandone con chiarezza la struttura fisica e spaziale, con uno sguardo attento sul corpo e sullo stato emotivo. Ma più di un secolo dopo, cosa racconta questo personaggio? A partire da questa domanda si sviluppa la ricerca di Giorgia Nardin, con uno sguardo al celebre Nijinsky.
Ancora Debussy per Chiara Frigo, cui è proposta la creazione di un lavoro ispirato al tema delle migrazioni sulla Suite Bergamasque (con elaborazioni sonore di Mauro Casappa) suite in quattro parti, che comprende anche il celebre Clair de Lune, ispirato questa volta ad una poesia di Mallarmé. In questo intreccio di citazioni letterarie e musicali, Chiara Frigo indaga un concetto di migrazione in cui gli orizzonti si sono appannati e ristretti, le traiettorie di fuga incontrano sempre più spesso un muro, un filo spinato; in cui migrare è un bisogno febbrile di uscire da un labirinto fatto di trappole spietate, inganni che si ripetono. Con la sua coreografia Chiara Frigo costruisce un labirinto di Dedalo, ispirato alla contemporaneità di una migrazione ben lontana dal volo liberatorio – seppur fatale – di Icaro.
A Francesca Pennini, infine, è proposta la creazione di Bolero sulla musica originale di Ravel: celeberrimo e diffusissimo tra le composizioni di danza, in questa versione di Balletto di Roma promette di essere scardinato e ricomposto secondo l’ironica e complessa danza tipica di Pennini e delle sue creazioni “cinetiche”. Nella versione di Francesca Pennini, Bolero è un atto di resistenza e di contagio, l’orrore e l’attrazione della ripetizione: da una parte la musica, agente scatenante di una febbre sensuale ed ossessiva, un’epidemia dei corpi e dei pensieri; dall’altra la danza, un rito di vaccinazione, una sfida atta a fare anticorpi per un conflitto sistemico con il suono.
Partendo dalle tre composizioni musicali, quindi, le tre proposte coreografiche mettono il corpo e la danza al centro della ricerca, offrendo suggestioni riferibili a un’umanità in movimento, al desiderio di essere amati e amare, alla seduzione e al suo contagioso impatto sugli esseri umani.
L’Après-midi d’un Faune (Resilienza)
Coreografia: Giorgia Nardin
Collaborazione alla Drammaturgia: Gaia Clotilde Chernetich
Luci: Emanuele De Maria
Costumi: Daniela Iaffei
Musica: Prélude à L’après-midi d’un faune – Claude Debussy
(esecuzione di Doriot Anthony Dwyer, Boston Symphony Orchestra & Michael Tilson Thomas)
Co-produzione: Associazione Culturale VAN
Interpreti: Francesco Saverio Cavaliere, Monika Lepisto, Fabio Novembrini, Luca Pannacci, Valentina Pierini, Eleonora Pifferi, Roberta Racis, Raffaele Scicchitano.
Manda messaggi senza farsi vedere, la sua presenza è mutevole, cangiante. Il fauno guarda e si lascia guardare.
Il fauno è una presenza militante, è un organismo resistente e vitale che fluisce nello spazio della scena evidenziando la continuità tra il dentro e il fuori così come quella tra interiorità e esteriorità, tra realtà e immaginazione.
Il corpo danzante del fauno è in costante ascolto, è una zona attiva, pulsante, è materia capace di generare meraviglia. Umile, vulnerabile e allo stesso tempo potente, il corpo mantiene una densità specifica che si esprime nel virtuosismo più prezioso: quello della presenza. L’attesa, la caduta, il fremito, la propulsione e la sospensione sono le parole chiave di un vocabolario di movimento che non distingue tra micro e macro strutture gestuali: la forza della figura danzante nasce da un disegno di dettagli e di tessuti connettivi, ossa e muscoli per i quali linearità, distensione e contorsione partecipano in egual misura.
Resiliente, silenzioso, a tratti vocale: quello del fauno è un concetto sonoro che attraversa lo spazio.
Dalla storia della danza al presente, il fauno ci raggiunge nel XXI secolo come una forma complessa, una Gestalt per certi aspetti barocca. Nella sua presenza è possibile osservare una condensazione di significati e forme che è l’origine del contemporaneo in danza.
Dissolvendosi nella musica di Debussy, paesaggio sonoro di disarmante bellezza, il fauno espone la propria vocalità e il proprio tempo interiore disseminato di desideri per i quali non sussiste nessuna distinzione tra sacro e profano.
(Gaia Clotilde Chernetich)
Stormy
Coreografia: Chiara Frigo
Drammaturgia: Riccardo de Torrebruna
Elaborazioni Sonore: Mauro Casappa
Musiche: Claude Debussy
Consulenza Artistica: Amy Bell Luci: Moritz Zavan Stoeckle
Interpreti: Francesco Saverio Cavaliere, Roberta De Simone, Roberta Racis, Fabio Novembrini, Valentina Pierini, Luca Pannacci, Eleonora Peperoni, Raffaele Scicchitano, Monika Lepisto.
Nel panorama odierno, la necessità di “migrare” sta perdendo la prospettiva di un “altrove” in cui ridefinirsi e dare vita ad un cambiamento della propria condizione. Gli orizzonti si sono appannati e ristretti, le traiettorie di fuga incontrano sempre più spesso un muro, un filo spinato. Oggi le migrazioni avvengono all’interno di un labirinto di trappole e d’inganni. I protagonisti di questa lotta contro il tempo procedono come stormi di uccelli in volo, ma rischiano di smarrire la speranza che ha sempre animato chi si lasciava un mondo alle spalle per cercarne un altro. La mitologia del viaggio, di cui Icaro incarna l’eroe più estremo, viene risucchiata nel dedalo di Minosse e del Minotauro che ne controlla i varchi. Esiste ancora una via d’uscita?
Senza sottrarci ad una questione politica che c’investe ogni giorno con la sua lista di sciagure, abbiamo tentato perfino di ribaltare gli esiti del mito. La domanda però, è rimasta aperta.
Frutto della collaborazione tra la coreografa Chiara Frigo e il drammaturgo Riccardo de Torrebruna, “Stormy” affronta il tema delle migrazioni. Per fornire ai danzatori una partitura interna con cui affrontare il viaggio era necessario che i riferimenti mitologici fossero vissuti e tradotti in modo personale, senza perdere la natura intima da cui l’intero lavoro è partito. Migrare è una necessità dello spirito, un’urgenza che trascende perfino la dimensione storica dei fenomeni, l’inquietudine di chi è alla ricerca di una possibile rinascita. Viaggiando su uno spartito musicale quanto meno imprevisto, la Suite Bergamasque di Claude Debussy e i suoi quattro movimenti, Mauro Casappa ha dato vita a rielaborazioni sonore che dilatano il tempo e il mare che da sempre separa i viaggiatori dalla loro meta.
(Riccardo de Torrebruna)
Bolero – The head down tribe
Regia e coreografia: Francesca Pennini
Drammaturgia: Angelo Pedroni
Musica: Maurice Ravel, Rolling Stones
Disegno luci: Angelo Pedroni
Tecnica: Emanuele De Maria
Disegno Costumi: Francesca Pennini
Realizzazione costumi: Concetta Assennato, Maria Colaneri, Daniela Iaffei
Interpreti: Francesco Saverio Cavaliere, Roberta De Simone, Monika Lepisto, Fabio Novembrini, Luca Pannacci, Eleonora Peperoni, Valentina Pierini, Eleonora Pifferi, Roberta Racis, Raffaele Scicchitano.
È moltiplicazione.
È ripetizione.
È contagio.
È accumulazione.
È immortale.
È desiderio che si alimenta senza consumarsi.
È infezione musicale, tarlo sonoro, parassita. Virus.
Dal flauto all’orchestra, dal paziente zero all’epidemia globale.
Il Bolero di Ravel ha tutte le caratteristiche dell’apocalisse Zombie.
Sono gli zombie che esistono, quelli che vivono come corpi eterni e cinematografici nei film di Romero, metafore del consumatore compulsivo della società di massa. Sono gli zombie della tradizione haitiana, drogati e annullati per diventare ottimi schiavi, lavoratori totali. Sono ora, qui, gli zombie digitali, tuffati nello schermo dello smartphone con la loro retina sulla retina HD, dove sociale muta in social, toccare in touchpad e self in selfie. Dove il singolo è fagocitato dal plurale indifferenziato. Massa seriale che desidera, un corpo di ballo che corteggia un’unica preda. Coazione a ripetere di prassi coreografiche, gli echi di passé che cercano l’equilibrio, una pulsione pelvica cannibale, le fauci divaricate tra il sorriso e il morso o perse in masticazioni inutili, i palmi delle mani tutti orientati all’inquadratura perfetta che dichiara che, in qualche modo, sono al mondo. Ciechi come piante che cercano la luce, i loro corpi tendono a quel corpo sonoro che li ha infettati: quel Bolero virale che, come un’esca, li attrae e poi infesta le orecchie, il cervello.
Un solo sopravvissuto. Un solo. Un danzatore che si dedica una danza privata. Lui gode e sente. Lui, solo, non tende che al suo presente.
Ma, come prassi di ogni storia zombie, anche la “bolero-apocalisse” è totale. Non c’è scampo, tutti lo sanno. Anche Ravel. Anche voi.
(Francesca Pennini)