“È che mi brucia, mi mancia, mi dduma come carne chi poggia d’intra u focu.
Allura aspettu, aspettu, chi prima o poi mi nesciunu l’ali…”
Volare! Con tutte le proprie forze, abbandonarsi al volo e abbandonare così sulla terra tutto quello che ci ha sempre relegato ad essa come una condanna.
Trovare una via d’uscita dai labirinti che ci imprigionano ogni giorno, lasciare che la nostra carne diventi più leggera dell’aria, lasciarsi scivolare di dosso il peso di questa carne, della colpa, di questa nostra follia, di questa nostra disperazione.
Librarsi in volo per liberarsi, anche se il sole, il mare e la cera che tiene le nostre ali non promettono bene, anche se tutti gli altri ci dicono che sanno già come andrà a finire, anche se Icaro vuol dire chiamarsi Vanni e vivere in una piazza di paese deriso da tutti per la propria follia, anche da se stesso.
Deriso da tutti perché non ricorda più il motivo che lo spinge a volare.